La tempesta dei prezzi dell’energia è dovuta alla geo-politica? Cosa farà l’Europa?
Il trend ascendente dei prezzi del gas non ha mai avuto nulla di simile negli ultimi 30 anni.
Basta portare l’esempio della quotazione di febbraio 22 che valeva 16,47 €/MWh al 18 Dicembre 2020 contro i 179,88 €/MWh toccati il 21 Dicembre 2021.
Si parla di un rincaro di ben più di 10 volte!
L’impatto, durante l’inverno soprattutto, è importante per le famiglie che subiscono un rincaro della materia prima di circa 4 volte nel giro di due trimestri ma è davvero critico per le imprese.
Le famiglie, nonostante gli importanti interventi del governo che ha eliminato gli oneri di sistema (8 miliardi di euro da settembre a oggi per alleviare il peso dei rincari in bolletta), soffriranno anche nei prossimi mesi per gli importanti rincari nell’acquisto di elettricità e gas.
Le imprese, specie quelle energivore, causa anche la miopia imprenditoriale che scommetteva su un ulteriore (quanto improbabile!) ribasso post-covid, saranno soggetti a costi insostenibili che rischiano di farle fermare e di compromettere la ripresa. Per loro, fino ad ora, molto poco è stato fatto.
Le cause sono molteplici:
- un evitabile ripresa post-covid di tutte le economie mondiali e quindi una crescita forte della domanda di energia, con la Cina che compete con l’Europa per il gas naturale russo ;
- problemi di adeguamento dell’offerta alla domanda, a causa dei ritardi causa pandemia sulla manutenzione ed il revamping degli impianti;
- una riduzione degli investimenti nella ricerca di nuovi giacimenti da parte delle oil companies, dovuta all’onda ambientalista che ha indotto moltissimi investitori finanziari a non finanziare nuove attività legate agli idrocarburi;
- una generale spinta che ha investito tutto il settore delle materie prime, energia compresa;
- fattori geo-politici che si stanno in questi giorni inasprendo con la crisi ucraina.
L’Europa è legata con più del 60% dei propri consumi di gas al gas russo e l’impegno finanziario di più di 15 miliardi di dollari nella costruzione del North Stream, il fascio tubiero che attraverso il mar Baltico trasporta direttamente il gas proveniente dalla Russia in Europa passando per la Germania, dimostra la predilezione (e la connessione fisica!) del vecchio continente verso il vecchio impero degli Zar.
Nonostante questo legame di fatto, l’Unione Europea e la Germania non hanno esitato a stressare il rapporto con la Russia, in particolare sulla vicenda del North Stream ormai ultimato e solo da mettere in esercizio, proprio a causa dell’Ucraina.
Significativi ostacoli burocratici hanno ritardato l’avvio del nuovo gasdotto e le dichiarazioni della ministra degli esteri tedesca Annalena Baerbock, che ha subordinato l’avvio o meno del North Stream con l’evoluzione della crisi ucraina, hanno provocato un’ulteriore impennata del prezzo del gas naturale in Europa.
Il ruolo della politica europea in un momento di crisi del genere sarebbe quello di alleggerire le tensioni internazionali e non di stressarle, anche a costo di un tormentato rapporto con gli Usa che ci hanno soccorso inviandoci delle navi gasiere che hanno un po’ rilassato le tensione dei mercati.
Ma per poco; molto poco. E sicuramente non secondo un approccio “strutturato” -perché caratterizzato da asset che garantiscano forniture durature- come è quello con Mosca.
Ovviamente, per tutto quanto sopra e per garantire la sopravvivenza delle imprese, l’Europa tutta non ha alcun interesse a esasperare i rapporti con la Russia.
Putin vorrebbe garantire la sicurezza di Mosca senza che un paese che apparteneva all’unione sovietica come l’Ucraina (che evidentemente ha il diritto diritto di richiedere l’adesione alla Nato), punti missili nucleari a Kiev verso Mosca e le altre città russe.
Questa tensione che ha portato in questi ultimi giorni al dispiegamento dell’esercito russo alle frontiere, causa un inevitabile nervosismo dei mercati che rimbalzano ripetutamente sulla soglia dei 90 €/MWh, non attestandosi a livelli di mercato sostenibili per le imprese. Tante le imprese che hanno sospeso la produzione dei beni.
Ma l’Europa ed il governo italiano che fanno?
Dopo avere fatto passare ben più di un trimestre per accorgersi del problema, affaccendati in ben altre questioni politiche come l’elezione del Presidente della Repubblica, solo adesso, a metà febbraio (da ottobre 21) si comincia a varare qualcosa per i clienti energivori.
Ma per ora solo per i clienti energivori ELETTRICI.
Il governo ha varato una manovra per riconoscere un credito d’imposta pari al 20% del costo che verrà sostenuto nel trimestre gen-mar 2022 qualora si registri un incremento superiore al 30% rispetto alla media tra i costi medi sostenuti nell’ultimo trimestre 2021 rispetto allo stesso periodo del 2019.
Un meccanismo un po’ confusionario ed ancora non ben definito nel suo iter attuativo.
Si attende una circolare operativa da parte del MISE e soprattutto, un’analoga misura per il gas naturale che interessa una gran parte del comparto alimentare, cartiere, fonderie e una significativa parte del comparto primario.
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